Nel territorio di Cuggiono, provincia e diocesi di Milano, esistono due parrocchie, ambedue di antica origine: quella del capoluogo intitolata a san Giorgio martire e quella della frazione Castelletto intitolata ai Santi Apostoli Filippo e Giacomo.
La parrocchia di Cuggiono è composta da 6.800 persone circa, mentre quella di Castelletto da 400 persone circa.

Radici storiche della parrocchia

Il costante aumento del nr dei cristiani nelle campagne impose la creazione di strutture adatte per la loro vita liturgica e comunitaria, in una situazione ben diversa da quella cittadina dove tutto convergeva verso la cattedrale, sede del vescovo.
Sorsero così a partire dai secoli IV-V, ma soprattutto VI, quelle che nell’Italia centro-settentrionale furono chiamate “pievi”, comprendenti i villaggi di un determinato territorio che solitamente gravitava intorno ad un centro già di una certa importanza civile o militare, scelto appunto come sede della pieve.
In questo centro fu eletta la “ecclesia plebana” o “baptisimalis”, officiata da un arciprete e dal suo clero, nella quale si recavano gli abitanti dei villaggi del territorio per il battesimo, anzitutto, ma anche per la comunione pasquale, la cresima e la messa domenicale.

Cuggiono e Castelletto appartenevano alla pieve di Dairago.

Non esisteva nessun obbligo di celebrare nella chiesa plebana i funerali come anche, in certa misura, i matrimoni. I primi si celebravano dove una persona moriva. Uno dei preti della pieve (abitavano tutti nella canonica posta accanto alla chiesa plebana) si recava dove vi era il defunto per celebrarvi le esequie. Questi spostamenti del clero della pieve non erano occasionali, ma rientravano nell’ordinaria prassi pastorale. Infatti il clero, oltre ai compiti suoi propri, in assenza di ogni tipo di organizzazione statale doveva occuparsi anche degli indigenti, dei malati, degli orfani e delle vedove che ovviamente si trovavano nei diversi villaggi.
A poco a poco invalse l’uso di far celebrare la messa festiva nelle cappelle che nel frattempo erano sorte in ogni villaggio e delle quali si celebrava con la massima solennità la festa patronale. Divenne un impegno stabile per il prete “investito”, cioè titolare, del beneficio (formato da terre e dalla casa d’abitazione) annesso a quella cappella. Insieme ai mutamenti socio-culturali, di costume e politici avvenuti dopo il Mille fu una delle cause del sorgere delle parrocchie come noi le conosciamo.

La parrocchiale di Cuggiono

Cuggiono non fu sede di pieve. La dedicazione della parrocchiale al martire Giorgio, conservatatsi inalterata fino ad oggi, induce a supporre che sia sorta per iniziativa di gente di origine longobarda. E’ notra infatti la diffusione del culto per Giorgio tra i longobardi. Le vicende di questo martire orientale, arricchite con elementi fantasiosi, apparvero emblematiche agli occhi di un popolo portato ad idealizzare le gesta, vere o presunte, dei combattenti, specialmente dei caduti in battaglia.
Difficilmente essa sorse prima dei secoli VIII-IX. In quel tempo il “vicus Cuzoni”, del quale sfugge l’origine, era abitato da famiglie longobarde forse frammiste agli ormai relativamente pochi superstiti della precedente popolazione autoctona gallo-romana.
La presenza di famiglie di origine longobarda, probabilmente appartenenti ad un unico clan, è attestata da alcuni atti notarili. Tra essi un contratto stipulato il 16 febbario 875 per la compravendita di alcuni appezzamenti di terra situati nei pressi del villaggio natale tra Rachiberga figlia del fu Dragigulfo, “honesta foemina de lege langobarda”, e Pietro, abte del monastero di S.Ambrogio in Milano.
La primitiva cappella dedicata a S. Giorgio fu costruita certamente per il culto dei defunti come era prassi per le cappelle dei villaggi. Essa subì nel tempo radicali trasformazioni e aggiunte che ne alterarono la struttura originaria. Si conservarono l’orientamento, con l’abside ad est, e la posizione del campanile sulla facciata.
L’ultimo intervento di rilievo, avvenuto a metà Ottocento, la rese un edificio vagamente neoclassico come appare dai dipinti e dalle foto che rimangono. Divenuto di proprietà comunale e giudicato d’ingombro alla viabilità del paese nel 1960 fu abbattuto.
Da tempo aveva cessato però di essere chiesa parrocchiale. Fin dalla seconda metà del Cinquecento di fronte all’incremento della popolazione, alla sua poca funzionalità a motivo degli ampliamenti effettuati senza un progetto previo, al suo stato di precaria conservazione, ci si pose la domanda se si dovesse ampliarla ulteriormente o pensare alla costruzione di una nuova parrocchiale.
S. Carlo, in visita pastorale nel 1576, si mostrò propenso alla prima ipotesi, ma non se ne fece nulla fino al 1605 quando nel corso della visita pastorale effettuata dal card. Federico Borromeo fu presa la decisione di costruire una nuova parrocchiale.
Sostenitore appassionato della decisione fu il parroco Melchiorre Galizia che ebbe alleate le autorità comunali capeggiate dal console Luchino Gualdoni. Della progettazione fu incaricato Francesco Maria Richini, giovane architetto formatosi a Roma, alle prese con il suo primo lavoro di una certa importanza. La prima pietra del nuovo edificio fu posta il 25 aprile 1606. Nel 1633 fu aperto al culto.
Ben presto si arricchì di arredi e di pregevoli opere d’arte. Nel 1643-44 l’organaro Michelangelo Valvassori fu incaricato della costruzione dell’organo (purtroppo distrutto all’inizio dell’Ottocento) la cui cassa e balaustra furono commissionate a Carlo Garavaglia, uno dei maggiori intagliatori del Seicento lombardo.
Lo stesso Garavaglia, forse nativo di Cuggiono, realizzò nel 1654-59 l’altare maggiore in legno (di cui rimane solo il tabernacolo) e tra il 1650 e il 1660 uno splendido coprifonte battesimale. Dalla sua bottega uscì forse anche l’altare ligneo esistente nella cappella di Sant’Antonio da Padova.
Nel 1648 Galeazzo Arconati, il prestigioso mecenate che dono il Codice Atlantico di Leonardo alla Biblioteca Ambrosiana, fece completare la cappella del Carmine. Francesco Calone fu incaricato della costruzione dell’altare, la cui pala è opera di Carlo Francesco Nuvolone, mentre di Gian Cristoforo Stoner sono probabilmente gli affreschi e le decorazioni delle pareti e della le pareti e della volta.
Sono del secolo XVII le quattro statue in marmo, attribuite agli intelvesi fratelli Pozzi, poste all’ingresso del presbiterio che con la statua di San Giuseppe, ora nell’omonima cappella, appartenevano a un unico altare nella distrutta chiesa di S. Francesco grande in Milano e le statue in “stucca” poste nelle nicchie lungo la navata.
Settecenteschi sono invece il quadro dell’Immacolata concezione, di Pietro Gilardi(dipinto nel 1717); il reliquiarioo contenente il corpo di San Benedetto martire realizzato dall’orefice Bini nel 1763-64 e alcuni paliotti delle cappelle laterali, anch’essi di scuola intelvese.
Nel 1802, su disegno di Lodovico Pollak, fu costruito il nuovo altar maggiore che prese posto dell’originario, in legno, costruito da Carlo Garavaglia.
Come si è detto la medesima sorte toccò all’organo. Nel 1817 l’organaro varesino Eugenio Biroldi fu incaricato della costruzione di un nuovo strumento. Essendo più grande di quello del Valvassori, fu necessario sostituire la cassa realizzata dal garavaglia. La nuova, tuttora esistente, è del falegname Camillo Gada. Nel 1864-65 l’organo fu revisionato e ulteriormente ampliato dai fratelli Prestinari di Magenta che non manomisero completamente quanto aveva fatto il Biroldi. Pertanto lo strumento attuale può essere considerato un Biroldi-Prestinari.
Le varie fasi della complessa vita dell’organo della parrocchiale di Cuggiono si sono potute puntualmente ricostruire e studiare oltre che dalla documentazione esistente nell’archivio parrocchiale anche da quanto è apparso nel corso dei restauri compiuti negli anni 1992-93. Non solo un buon numero di registri e canne sono del Biroldi, ma parecchie di esse risalgono addirittura al Valvassori.
La facciata dell abasilica, come ormai veniva comunemente chiamata anche se non esiste un documento con cui le venga formalmente attribuito il titolo, era ancora incompiuta. Nel 1845 fu completata su disegno dell’architetto Giovanni Battista Bossi.
Nel 1889 fu issato sulla torre campanaria (alta 65 metri dalla base alla croce che si trova alla sommità) un concerto di 8 campane fuso dalla ditta Pruneri di Grosio in Valtellina.
Quando fu realizzata la facciata si dovette scegliere, per mancanza di fondi, il progetto senza proano. Il desiderio di realizzarlo non fu però mai abbandonato. Fu costruito negli anni 1901-02 su progetto dell’arch. Santamaria.
L’interno della basilica era ancora completamente spoglio, eccettuati i dipinti settecenteschi della cappella del Carmine e quelli da poco esistenti nella cappella di San Carlo. Desiderando conferire maggior prestigio ad un edificio tanto prestigioso dal punto di vista architettonico, l’arciprete Eliseo Sambruna, in accordo con la fabbriceria e con l’aiuto determinante della popolazione, inacricò Luigi Morgari di affrescarne la volta e le pareti e Aristide Secchi di provvedere alle decorazioni. I lavori furono compiuti negli anni 1908-1910.
Nel secondo dopoguerra gli arcipreti Castiglioni, Carrara e Roggiani attuarono una serie di interventi di restauro e di salvaguardia che alla soglia delquarto secolo di vita, hanno riportato l’edificio al suo primitivo splendore.Negli anni 1988-89 fu restaurata la facciata e dal 1992 al 1998 si è messo mano alle pareti esterne, al campanile e agli interni. Manca ancora il pavimento che verrà realizzato nel 2002.
Notizie storico artistiche più dettagliate sulle parrocchiali e sulle chiese di Cuggiono e castelletto e sui restauri in esse compiuti si possono trovare nel volume “Chiese di Cuggiono e Castelletto”, a cura di Giovanni Visconti, edito dalla parrocchia e dal Comune di Cuggiono nel 2000. Il volume si può acquistare nelle librerie di Cuggiono o presso la parrocchia.