L’AIUTO SOCIO-ASSISTENZIALE

Un vastissimo settore di impegno per il mondo cattolico è da sempre quello dell’assistenza, residenziale o meno, per persone disagiate, anziani, malati non autosufficienti, minori, famiglie, tossico-dipendenti, detenuti, immigrati e senza fissa dimora.

Sino al 1890 era solo la Chiesa ad occuparsene, ma naturalmente non tocca ad essa risolvere tutti i problemi. Valgono però il principio di sussidiarietà e l’impegno della carità come fondamento dell’ordine sociale.

Con la legge Crispi di quell’anno tutte le opere assistenziali vennero rese pubbliche. Nel 1988 tale legge fu dichiarata illegittima e successivamente fu abrogata. Oggi il settore assistenziale delle opere collegate con la Chiesa comprende 13.298 servizi di matrice cattolica, costituiti anzitutto dall’assistenza per anziani e disabili (1.422 servizi residenziali e 1.137 non residenziali) e poi per minori e famiglie (1.088 servizi residenziali e 1.877 non residenziali). Vi lavorano 310.000 persone, di cui circa 15.000 religiosi/religiose volontari per oltre l’80%. Anche tra i laici, oltre la metà degli operatori è costituita da volontari/volontarie.

Sono coordinati dall’Uneba (Unione nazionale fra gli enti di beneficenza e assistenza) che raccoglie circa 3.000 enti, quasi tutti non profit. Nell’assistenza, l’ente titolare di tutte le funzioni connesse è il Comune, con il quale (e con le ASL) entrano in rapporto gli enti accreditati o convenzionati. Questo fatto, data la grande varietà di politiche e criteri attuati, rende molto difficile la stima a livello nazionale. Sono i Comuni che decidono chi aiutare e in quale misura, e molti sono in arretrato da anni con i pagamenti.

Un capitolo a parte meriterebbero le esperienze di impegno sociale dei religiosi e delle religiose. Sui 14.214 servizi rilevati dal censimento delle opere sanitarie e sociali, quelli promossi da istituti  religiosi sono 1.837, cioè il 13% del totale. La cifra può sembrare bassa, ma i servizi che fanno capo ai religiosi sono in genere più strutturati e articolati (specialmente in campo sanitario e sociale a carattere residenziale) e non semplici mense o centri di ascolto.

Più volte si parla delle comunità di recupero per drogati, molte delle quali fondate da sacerdoti o da loro gestite. Se ne contano un migliaio, due terzi delle quali di ispirazione cattolica, che assistono circa 40.000 tossicodipendenti sui 170.000 censita dai Serd (Servizi per le dipendenze). Ogni ospite costa mediamente 90 euro al giorno, di cui lo Stato ne versa (con molto ritardo) circa 50. La Chiesa contribuisce quindi con circa 2.000.000 di euro al giorno, per un totale di circa 800 milioni di euro all’anno.

In ogni caso non tocca allo Stato il compito di attribuirsi tutte le funzioni sociali, altrimenti si rischia di distruggere ogni capacità organizzativa della società. Esiste infatti un vastissimo arcipelago di volontariato, molto difficile da misurare e valutare. Secondo Cnel e Istat, ci sono in Italia oltre 3 milioni di volontari, un terzo dei quali sono inseriti in realtà ecclesiali. Escludendo quelli impegnati nello sport e negli oratori si valuta  in 2 miliari e 800 milioni di euro il controvalore economico annuo del volontariato di ispirazione ecclesiale.