Don Giuseppe Sala nacque a Milano nel 1933 in una famiglia di fittavoli. Dopo il periodo scolastico collaborò col papà e il fratello nel lavoro dei campi indeciso sul suo futuro. La strada del sacerdozio maturò in lui a poco a poco fin quando entrò nei Seminari diocesani dove completò gli studi di base che non aveva compiuti.

Passò poi in teologia, a Venegono, dove in quegli anni insegnavano insigni professori tra cui mons. Guzzetti che ricordava frequentemente. Ma non fu a Venegono che ebbe la folgorazione dalla teologia di San Tommaso, ma dopo qualche anno di sacerdozio quando gli capitò, quasi per caso come diceva, di riprendere in mano i testi dell’Aquinate che pure aveva studiato in Seminario. Ordinato sacerdote nel 1960 dal card. Montini (a quei tempi era considerato una vocazione tardiva, oggi è l’età media normale dei sacerdoti novelli) fu destinato coadiutore a San Giorgio su Legnano dove fece il “prete dell’Oratorio” nella più classica tradizione ambrosiana.

Nominato parroco di Pantigliate, un paese vicino a Melzo, fu zelantissimo come ricorda ancora qualcuno dei suoi vecchi parrocchiani. Si impegnò molto nella stampa cattolica e fondò un settimanale diffuso nella zona di Melzo-Gorgonzola. Nel 1981 gli giunse la nomina ad Arciprete di Cuggiono. Fece il suo ingresso inparrocchia in febbraio, accolto presso la cappellina di Strada Castano da una grande folla che l’accompagnò in basilica dove celebrò la prima messa insieme al predecessore, mons. Castiglioni, Arciprete di Cuggiono per ben 34 anni. Il carattere e il tratto del nuovo Arciprete erano assai diversi da quelli di mons. Castiglioni e qualche incomprensione non mancò nei primi tempi. Ma a poco a poco la gente cominciò ad apprezzare il la dirittura e la franchezza di don Giuseppe e il suo amore per la verità. Una delle sue prime preoccupazioni fu quella di ridar vita al Consiglio pastorale praticamente scomparso negli ultimi anni di mons. Castiglioni e in ottobre indisse le elezioni per la nomina dei consiglieri. Essendo nel frattempo trasferito don Giovanni Annovazzi a Busto Arsizio per alcuni mesi dovette occuparsi anche dell’Oratorio maschile, aiutato da un seminarista il sabato e la domenica.

La sua preoccupazione principale però era l’istruzione religiosa. Desiderava che i fedeli conoscessero il più possibile le verità della fede per evitare che la loro religiosità fosse solo consuetudine o devozionismo. Inventò i “5 minuti” di catechesi dopo le Messe festive e poco dopo la “Messa del giovedì” dove iniziò una spiegazione sistematica della Somma di San Tommaso.
Chiamò i Padri di Rho per le Missioni e rilanciò i corsi prematrimoniali per i fidanzati con un metodo tutto suo. Quanti fidanzati avranno frequentato questi corsi in quasi trent’anni? E’ difficile dirlo. Bisognerebbe contare i questionari, rigorosamente anonimi, conservati in archivio parrocchiale.

Persona schiva, metodica, puntuale nell’assolvimento dei suoi impegni fu sempre zelantissimo nel confessionale.
Avvertiti nel 1985 i primi sintomi della malattia, dovette affrontare un’operazione al cuore avvenuta il 10 dicembre 1985. Questo causò un rallentamento negli impegni, che tuttavia cercò di assolvere meglio che poteva. L’aiutò il coadiutore don Roberto Mazzucchelli che cercò di supplire meglio che poteva nei numerosi impegni.

Il 31 ottobre 1987 don Giuseppe annunciò le sue dimissioni da parroco, rimanendo in parrocchia in attesa del nuovo Arciprete che farà il suo ingresso nel febbraio 1988.
Non si allontanò però da Cuggiono, sempre fedele al confessionale, alla tenuta dei “corsi fidanzati”, alla liturgia festiva e feriale che celebrava con zelo e devozione. Alcuni giorni la settimana si recava a Rho, presso il Santuario, apprezzato e ricercato confessore.
La grande folla e il numero dei concelebranti ai suoi funerali hanno dimostrato la stima e l’affetto che la gente aveva per questo prete, burbero nel tratto, ma dal cuore grande.

Lettera dell’Arcivescovo di Milano

Carissimi Fedeli,
partecipo commosso al vostro cordoglio per la morte di don Giuseppe Sala e mi unisco a tutti voi nell’elevare la preghiera cristiana di suffragio. Insieme accogliamo la divina volontà con spirito di fede, nella speranza certa che don Giuseppe riceverà dal Signore Risorto, per la misericordia di Dio, il premio promesso al servo buono e fedele.
Dopo i primi incarichi come coadiutore a San Giorgio su Legnano e come parroco a Pantigliate, nel 1981 assunse la responsabilità della vostra comunità di San Giorgio in Cuggiono, dove si è dedicato con zelo alla cura d’anime.

Quando poi nel 1988, per motivi di salute, aveva chiesto di rinunciare al mandato, don Giuseppe ha continuato a prestare il suo prezioso servizio nel ministero presso la vostra comunità, dove, sorretto da un’intensa vita di preghiera, ha speso le sue energie nell’intento di aiutarvi a crescere nella conoscenza del mistero di Gesù, nella consapevolezza della vocazione battesimale e nella testimonianza della carità evangelica. Era assiduo nel ministero della Confessione che esercitava con fedeltà e costanza sia presso la vostra comunità, sia presso il Santuario della Beata Vergine Addolorata a Rho. Sono certo che molti di voi ricordano con gratitudine le sue parole, i suoi incoraggiamenti, i suoi consigli sempre saggi e attenti.

Ora, mentre ringraziamo don Giuseppe per quanto ci ha donato, lo affidiamo all’intercessione materna di Maria e di San Tommaso d’Aquino di cui era profondo conoscitore e stimatore e gli chiediamo di vegliare sul nostro pellegrinaggio terreno nell’attesa di ritrovarci tutti insieme nel cuore misericordioso e beatificante di Dio. Con affetto, invoco su tutti voi la benedizione del Signore.

Dionigi card. Tettamanzi, arciv.

In Memoria di Don Giuseppe

Signore, tu accompagni il nostro cammino, il cammino della tua Chiesa, con tanti doni che la sostengano, la illuminino e la guidino.
Oggi ti ringraziamo per i quasi trent’anni di presenza tra noi di don Giuseppe: trent’anni di ministero presbiterale vissuti con fedeltà e passione.
Tu ci hai donato, Signore, un prete vero, mai dimentico del senso della sua missione in mezzo a noi. Parroco prima, e poi, con la massima semplicità, rimasto tra noi a predicare, assolvere, darci l’Eucaristia, preparare ai sacramenti, introdurre alla fede. Spesso, Signore, ci dimentichiamo che tutto questo lavoro di un prete ha la sua radice in una abilitazione più profonda che il sacramento dell’ordine conferisce: l’abilitazione ad amare il Popolo di Dio in assoluta dedizione. Predicare, celebrare, assolvere, accompagnare sono l’espressione visibile di questa che è la vocazione a cui ogni prete è chiamato: amare gli uomini, appassionarsi alla loro santità, aiutarli a farsi simili a Te, Signore, quanto più sia possibile.
Ti ringraziamo, Signore, per la meticolosità della sua predicazione sempre preparata con scrupolo, sempre scritta fino all’ultima parola, nella consapevolezza della preziosità per noi della tua Parola costretta a scorrere attraverso le nostre povere parole di uomini e di preti. Per questo le parole di una predica o di una catechesi, per don Giuseppe e per ogni buon prete, devono essere prima pregate, poi scelte con cura e infine diventare nutrimento della tua Chiesa. Ti dobbiamo un ringraziamento, Signore, per le innumerevoli ore passate da don Giuseppe in confessionale qui da noi e nel santuario di Rho.
Offrire la tua paziente misericordia di fronte alla monotonia disperante delle nostre debolezze è stato uno dei compiti che gli avevi assegnato il giorno della sua ordinazione.
Signore, don Giuseppe è stato fedele a questa impresa di guarigione dei cuori e delle nostre fragili libertà, profondamente convinto che se un prete sta in confessionale la gente si confessa e non lo fa’, molte volte, se i confessionali sono vuoti…
Siamo qui, Signore, a ringraziarti a nome di tutte le coppie di sposi che don Giuseppe ha preparato e introdotto a quella via di santità che è il matrimonio. Il nostro archivio ne conserva tutti i nomi. Certamente adesso don Giuseppe le ricorderà tutte, una per una, e continuerà a intercedere e a pregare per loro perché il vissuto di ciascuna sia davvero carico di amore verso Te, Signore, e verso la tua Chiesa. Vogliamo ricordare, Signore, la voce di don Giuseppe durante la celebrazione della Eucaristia. Mai una messa senza il canto, anche nei giorni feriali…
La Messa è la gioia della vita di un prete e di ogni comunità cristiana vera: mai deve essere partecipata senza gioia! Nella Messa ogni prete si rigenera ogni giorno alla sua vocazione e alla sua missione e i 77 anni di don Giuseppe ad ogni Messa… scomparivano riaccendendo la fiamma di una giovinezza del cuore e della mente per il servizio del tuo popolo,Signore. Vogliamo anche avvisarti di alcune cose, Signore.
Ti arriva in casa un tipo burbero e roccioso. Non farci caso: sotto questa scorza un po’ dura c’è solo una passione totale per Te e per la tua Chiesa che era capace di infiammarlo mentre stava qui tra noi: chi incontrava don Giuseppe andava a sbattere contro la salvifica durezza del “non potete servire a due padroni”. Aiutaci a non dimenticare questa benefica rocciosità del ministero che don Giuseppe ha svolto tra noi.
Ti vogliamo chiedere anche un favore: permettigli dopo che ha salutato Te per primo, come è giusto, di andare a salutare un suo amico, un certo Tommaso d’Aquino sulle cui pagine e sulla cui sapienza teologica don Giuseppe ha speso tante ore del suo studio appassionato. Forse ha esagerato un po’, restando un uomo di una sola teologia, appunto quella di Tommaso… ma una teologia, cioè una riflessa conoscenza della fede, l’ha coltivata e l’aveva. Sentiamo che qui siamo in difetto, Signore: facciamo fatica a dire in chi e in cosa crediamo e di sicuro una teologia non l’abbiamo…
Abbiamo abbandonato la catechesi, o come dicevano una volta, la Dottrina. Signore, di’ a Don Giuseppe di pregare per noi perché ritroviamo il gusto della conoscenza ragionata della fede che professiamo e cerchiamo di vivere. Diversamente non troveremo le parole per trasmetterla ai nostri figli. E’ con questo senso di gratitudine che affidiamo a Te Signore il tuo servo buono e fedele don Giuseppe.

Omelia di Mons. Delpini

I preti stanno come stavano una volta le sentinelle sulle mura della città. Stanno di giorno e di notte. La gente entra ed esce e, per lo più, non si cura delle sentinelle, non si domanda se sono contente o se sono tristi.
La gente va e viene; forse si sente rassicurata al vedere che le sentinelle stanno sulle mura della città. C’è anche chi trova inutili le sentinelle: che cosa state a fare sulle mura della città? Viviamo giorni qualsiasi, non ci sono nemici che attaccano la città, non ci sono signori che vengono a celebrare il loro trionfo, non ci sono notizie che meritino di essere annunciate. Viviamo giorni qualsiasi di gente qualsiasi: che ci state a fare sulle mura della città? C’è anche chi trova antipatiche le sentinelle: credete forse di farci paura? Noi siamo liberi di andare e venire, di vendere e di comprare, di pregare e di bestemmiare. Noi diciamo e facciamo quello che ci pare: volete forse imporci qualche cosa? Pensate forse che dobbiamo rendere conto a voi di quello che facciamo? Alcuni trovano antipatiche le sentinelle! C’è anche chi trova ridicole le sentinelle: voi siete gente d’altri tempi, voi siete fuori dal mondo; voi state là tutto il giorno e tutta la vita e chi si accorge di voi? I vostri vestiti bizzarri, le vostre abitudini singolari, i vostri gesti e i vostri riti sono forse una curiosità per i turisti, come il cambio della guardia davanti al palazzo del presidente, una ridicola liturgia d’altri tempi. Ma i preti stanno là come le sentinelle! A che scopo?
Si potrebbe dire che sono là a segnare il confine. Con la loro presenza dicono che non è lo stesso essere dentro o essere fuori. Alcuni possono usare molte parole, ad altri può bastare un gesto, alcuni sono giovani e in piena salute, altri sono anziani e soffrono gli acciacchi dell’età. Tutti però stanno là come le sentinelle per dire: non è la stessa cosa essere dentro ed essere fuori.
Non è la stessa cosa fare il bene e fare il male. Segnano il confine. Resistono alla confusione: anche se è diffusa l’idea che in fondo tutto è uguale, credere o non credere, essere cristiano o non esserlo, mantenere la parola data oppure rinnegare gli impegni presi; anche se molti pensano che viviamo una vita qualsiasi di gente qualsiasi e che quello che facciamo non interessa a nessuno, anche se ad ogni osservazione si diventa suscettibili e si reagisce dicendo: chi sei tu per dirmi cosa devo fare? I preti sono là come sentinelle a ricordare il confine. Possono sembrare inutili, tanto chi li ascolta? Possono essere antipatici: perché venire a sindacare quello che facciamo? Possono apparire ridicoli: ripetete da secoli le stesse cose: non vi accorgete che il mondo è cambiato?
Ma loro, i preti, stanno là come le sentinelle a segnare il confine. Stanno là come le sentinelle nel centro della città, dove si prendono le decisioni importanti, dove si progettano le grandi imprese e anche là dicono: non è la stessa cosa fare il bene e fare il male.
Talvolta può sembrare che quello che conta è quello che rende di più, quello che risulta più facile, più simpatico, più popolare. I preti sono là, come sentinelle, a dire: il bene fa’ bene e il male fa’ male. Segnano il confine. Stanno là come sentinelle nell’angolo appartato, là dove uno si chiede che cosa deve fare, dove portano i suoi desideri, dove ciascuno da’ forma alla sua vita.
Talvolta può sembrare che quello che più conta è quello che mi piace, quello che accontenta una ambizione o un capriccio. I preti sono là nel dialogo personale, come le sentinelle a dire il perdono e la benedizione, a segnare il confine e ad indicare la strada. Ci sono due strade quella della vita e quella della morte: non è la stessa cosa percorrere una strada o l’altra. I preti stanno là come le sentinelle.
Non hanno deciso loro dove sta il confine, non hanno la pretesa di imporre niente a nessuno, non hanno armi per difendere la verità e contrastare l’errore. Parlano per chi li ascolta, si espongono talora all’impopolarità, sono talora feriti dal disprezzo o assediati dal sospetto. Ma loro… stanno là, segnano il confine!
Ecco, si deve riconoscere che il loro compito è talora ingrato, ma è una missione benedetta: infatti, dicendo che non è lo stesso fare il bene o fare il male, abbattere o costruire, seguire la strada della vita o quella della morte, sono una profezia contro la confusione, sono un rimedio alla banalità, indicano il possibile percorso per uscire dalla disperazione.
Possono infatti perdonare in nome di Dio. Siano benedetti i preti fedeli come le sentinelle che stanno là ad indicare il confine! Indicando il confine, indicano anche la porta di ingresso nella città, nella Gerusalemme celeste: non c’è altro ingresso che la morte di Gesù e la sua risurrezione. Sia benedetto don Giuseppe che ha vigilato per tutta la vita con precisione e dedizione, nel ministero pubblico e nel ministero del confessionale.
Ha vigilato come sentinella per indicare l’ingresso alla via della vita. Sia benedetto ora che ha varcato la soglia ed è entrato nella luce. La parola del giudizio che distingue bene e male, è risuonata per lui come un premio e una benedizione: “Bene Servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore”.