Ieri, nella Messa vigiliare della prima domenica di Avvento in Duomo, l’Arcivescovo ha ordinato 8 nuovi «ministri della soglia», portando così a 133 il totale in Diocesi. Il rettore don Giuseppe Como rileva la rinnovata attenzione alla formazione anche teologica e pastorale e sottolinea come questo ministero dia frutti anche nella vita di coppia

Un ministero giovane, ancora poco conosciuto, ma che, dove presente, ha contribuito ad arricchire le comunità. Parliamo del Diaconato permanente, introdotto nella Diocesi di Milano 26 anni fa dal cardinale Martini e che sta progressivamente crescendo.

Sabato 16 novembre, alle 17.30, durante la Messa vigiliare della prima domenica di Avvento in Duomo, il cardinale Angelo Scola ordinerà 8 nuovi diaconi permanenti, portando così a 133 le unità di questo ministero detto «della soglia», perché arriva alle frontiere della carità e dell’accoglienza,  là dove la Chiesa è chiamata ad aprire le sue porte. Quest’anno, per la prima volta, i diaconi permanenti non verranno ordinati insieme ai seminaristi che completeranno poi il loro cammino con il sacerdozio, ma da soli. «È una decisione dell’Arcivescovo» spiega don Giuseppe Como, rettore per la Formazione al Diaconato permanente, «per mettere maggiormente in risalto

la scelta celibataria dei transeunti, visto che l’80 per cento dei permanenti sono uomini sposati».

Don Como, nella nostra Diocesi possiamo parlare di un ministero in crescita anche numericamente?

Non c’è un trend fisso, dal Novanta a oggi sono stati ordinati circa 7 diaconi all’anno. Dunque siamo nella media.

Quali sono gli ambiti in cui un diacono può svolgere il proprio ministero?
I più numerosi sono attivi nelle parrocchie, in particolare nella pastorale familiare, nella catechesi e nella preparazione al Battesimo. Poi ci sono l’ambito Caritas e quello sanitario: qualche diacono, infatti, collabora con i cappellani delle strutture ospedaliere. Ma gli “sbocchi operativi” si stanno estendendo, per esempio all’ambito amministrativo ed economico nelle parrocchie. Cinque diaconi, poi, sono impegnati nella pastorale dei cimiteri, a Lambrate e a Bruzzano, e due nella pastorale scolastica: settori, questi ultimi, in cui si potrebbe incrementare la presenza del ministero. In futuro ci piacerebbe coinvolgere i diaconi anche nell’animazione dei centri culturali.

Cosa le sta particolarmente a cuore nella formazione dei diaconi permanenti?
Anche se ci sono limiti oggettivi, dovuti alla professione di ciascuno e al tempo da dedicare alla famiglia, vorrei che avessero una formazione di buona qualità e integrata a livello spirituale, di vita di fede e preghiera, di preparazione teologica e pastorale. A questo proposito, con l’Istituto di Scienze Religiose, l’anno scorso abbiamo avviato dei “tirocini pastorali”, ovvero corsi accademici che non prevedono lezioni frontali, con un insegnante in cattedra, ma da svolgersi nei diversi luoghi di pastorale, per esempio nell’ambito delle attività Caritas, nelle strutture sanitarie e anche presso Circuito Marconi.

Come vengono accolti i diaconi nelle comunità in cui operano?
Siamo ancora in una fase di inserimento di questa figura come modo particolare di vivere il ministero ordinato nei luoghi di lavoro e in ambito familiare. È una figura che in qualche caso fatica ancora a essere apprezzata e questo va di pari passo con la qualità e la preparazione. Certamente in questi anni è maturata una maggiore consapevolezza da parte nostra, come Chiesa e come formatori, di cosa sia il Diaconato permanente e si è compresa l’esigenza di una maggiore formazione, ma ancora molto c’è da fare. Stiamo anche rivedendo il direttorio diocesano, lo strumento legislativo e giuridico che regolamenta la formazione e il ministero. In alcuni casi sono le comunità stesse a richiedere la presenza di un diacono permanente, ma non sempre riusciamo a soddisfarle, perché, a differenza dei sacerdoti, i diaconi permanenti non possono avere destinazioni troppo lontane dalla sede lavorativa e dalla famiglia. Lo stesso Arcivescovo, durante l’assemblea annuale dell’agosto scorso, ha parlato di “obbedienza consapevole” e “mobilità compatibile”.

Cosa può aggiungere il matrimonio al ministero?

Pur con le fatiche che si sperimentano, i diaconi sposati testimoniano che il ministero fa bene anche al matrimonio, toglie tempo, ma la relazione coniugale ci guadagna in qualità. Il matrimonio poi dà al ministero un senso di concretezza e di attenzione alla vita quotidiana che poi si riflette positivamente nello stile delle relazioni pastorali.