Madre e padre sono un unico inseparabile team educativo. In una società al maschile come la nostra, la cultura, le condizioni economiche e di lavoro condizionano pesantemente il modo di vivere la genitorialità.

Il Pontificio Consiglio per la famiglia promuove un ciclo di “Dialoghi per la famiglia” su temi di vita familiare e sociale con esperti di varie discipline. In occasione del secondo degli appuntamenti, sul tema: “La madre e il padre nell’educazione dei figli. L’amore imperfetto” il Sir ha intervistato Grazia Attili, docente ordinario di Psicologia sociale presso l’Università di Roma “La Sapienza”, autrice, tra l’altro, del libro “L’amore imperfetto. Perché i genitori non sono sempre come li vorremmo” (Il Mulino, 2012), che ha contribuito al titolo dell’incontro organizzato presso il Dicastero vaticano.

Viviamo in una società schizofrenica: da un lato, il mito della famiglia felice, luogo di amore, conforto, sicurezza, e della madre, esempio di amore perfetto, dall’altro, la realtà di tante situazioni familiari difficili, di conflitti, in qualche caso perfino crimini all’interno delle mura domestiche. Come si conciliano?

“Più che un contrasto tra mito e realtà, si tratta di un contrasto tra due aspetti della realtà, che corrispondono a situazioni sociali contrastanti. Da un lato, ci sono famiglie in cui si realizzano le condizioni ottimali per la felicità dei membri, nelle quali le madri possono dedicarsi alla cura dei figli, con il supporto del marito e condizioni economiche serene. In queste famiglie, che secondo ricerche condotte rappresentano oltre il 50% del campione, perlopiù di estrazione sociale medio-alta, i figli crescono con una sana autostima e un senso di sicurezza adeguata, diventano adulti ben adattati, responsabili, capaci di mediare i conflitti. Le situazioni negative, conflittuali o perlopiù drammatiche, riguardano soprattutto famiglie in condizioni economiche disagiate o di lavoro che impediscono il rapporto diretto dei genitori con i figli, nelle quali, per esempio, le madri che lavorano con ritmi che impediscono normali relazioni genitoriali spingono i figli a diventare autonomi troppo precocemente. Il fattore economico è molto importante, ma ancora di più lo è la cultura. La nostra è una cultura della produzione e del consumo, che lascia sola la famiglia e nella quale i bambini sono spesso abbandonati a se stessi, senza la guida e il sostegno dei genitori. E questo produce un aumento dell’aggressività, all’interno delle famiglie e nella società”.

La cultura e il costume condizionano, quindi, il modo di essere madri e padri. Esiste, però, un modo “giusto”?

“La cultura, le condizioni economiche e di lavoro condizionano molto il modo di vivere la genitorialità. La nostra è una società ‘al maschile’, con ritmi di lavoro stressanti, in cui le donne sono obbligate a lavorare come e quanto gli uomini per non perdere l’impiego, i congedi parentali sono troppo stretti, i figli vengono abbandonati troppo presto, si interrompe troppo precocemente il contatto e la relazione diretta. Bisognerebbe, invece, creare una società ‘a misura di bambino’, organizzata sulla base dei suoi bisogni di crescita ed educativi, per formare adulti integrati, cittadini adattati. Ci sono, però alcune regole ‘universali’, potremmo dire, di una maternità e una paternità ottimale. I genitori ‘perfetti’ sono sensibili ed espansivi. Riconoscono i bisogni dei figli e rispondono con prontezza, educando alla consapevolezza di sé e al rapporto con gli altri. La madre è la figura genitoriale di aiuto e conforto, che aiuta alla formazione dell’autostima e alla relazione, con il contatto fisico, fin dall’allattamento. Nei ritmi della suzione, il bambino impara l’alternanza del dialogo, tra l’azione, la parola e l’ascolto. Impara ad esprimere i propri bisogni e sviluppa il senso di identità, la convinzione di valere e i valori morali, proprio perché la madre accorre in suo aiuto quando ha bisogno. Il padre sviluppa le competenze cognitive e sociali, la capacità di iniziativa e il senso di responsabilità, di adesione consapevole alle regole, attraverso il gioco. Il padre insegna ai figli a risolvere i problemi, a controllare le emozioni, a impegnarsi e dare il meglio di sé. Insieme, madre e padre sono un team educativo unico e inseparabile per formare adulti sani, sereni, adattati”.

C’è il modello perfetto e poi tante famiglie imperfette, padri assenti, madri ossessive o distanti, e sempre più famiglie separate…

“Ci sono famiglie perfette, con le loro imperfezioni, in cui i genitori si prendono cura della crescita dei figli come persone in modo complementare, insieme. E ci sono famiglie imperfette, perché l’amore dei genitori è imperfetto o madre e padre sono separati, per esempio. L’effetto è di figli disadattati, infelici, insicuri, con forti livelli di ansia e un tasso elevato di aggressività, che si rivolge all’esterno o contro se stessi, che può esprimersi come competitività esasperata, carrierismo, attaccamento alle cose materiali. Alcune ricerche condotte nei carceri minorili negli Stati Uniti dimostrano che oltre il 70% di minori che commettono reati provengono da famiglie monoparentali”.

Emanuela Bambara