19 GENNAIO 2014

Quando si parla di migranti o rifugiati, il pensiero corre subito agli “altri”, a quelli che vengono qui da “noi”, quasi ad invaderci, scordandoci che migranti, in un passato non lontano, siamo stati anche noi italiani. Quanti nostri parenti, più o meno prossimi, hanno lasciato Cuggiono per raggiungere nazioni dove speravano di trovare migliori condizioni di vita? E sulla speranza in un mondo migliore è imperniato il messaggio che Papa Francesco ha scritto in occasione di questa 100a Giornata.

Non riportiamo il messaggio papale e neppure ci soffermiamo sulle migrazioni odierne o sull’integrazione, riandiamo invece alle difficoltà incontrate da tanti nostri emigranti, simili a quelle che i migranti odierni vivono. Ci accompagnano figure e scritti di alcune eminenti personalità della Chiesa italiana vissute a cavallo dei secoli XIX e XX.

giovanniscalambriniIl beato Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905) prima da parroco, poi da vescovo di Piacenza toccò con mano le difficoltà della sua gente. Per la cura degli emigranti fondò nel 1887 gli Scalabriniani, preti che ancor oggi si interessano dei migranti e delle migrazioni. Su suo impulso nel 1891 nacque la Italian St. Raphael Society, la prima e principale organizzazione cattolica per gli immigrati negli Stati Uniti.

Santa Francesca Cabrini (1850-1917), nata a Sant’Angelo Lodigiano, fondò nel 1880 l’Istituto del Sacro Cuore con l’intenzione di andare ad evangelizzare lafrancescacabrini Cina. Papa Leone XIII la inviò invece in America per assistere le centinaia di migliaia di italiani emigrati, sfruttati, malpagati, vere vittime di organizzazioni senza scrupoli. Malaticcia, fragile, con grandi occhi azzurri trascinatori e un sorriso irresistibile, sbarca con 7 suore a New York nel 1889. Avvicina i nostri emigranti nei porti, nei ghetti, nei miseri tuguri dove neanche la polizia osa avventurarsi. A tutti reca una briciola d’Italia. Attraversa tutti gli States per impiantare orfanotrofi, asili, scuole, collegi, ospedali, laboratori, centri sociali per gli italiani e i loro piccoli figli. Scende in Nicaragua, in Honduras; percorre il Perù e il Cile da dove raggiunge l’Argentina. Madre Cabrini, una vera manager, trova sempre i finanziamenti per le sue opere, stronca tentativi mafiosi o richieste di tangenti, assiste i carcerati italiani nelle prigioni di Sing-Sing, Chigago, New Orleans, visita i minatori nelle profondità delle miniere di Scranton e Denver. Varca 24 volte l’oceano e nel 1892 fonda per gli italiani a New York il primo dei suoi famosi “Colombus Hospital”. Nel 1946 Pio XII la proclamò santa, la prima santa degli Stati Uniti, e nel 1950 la dichiarò patrona dei migranti.

Altri due protagonisti della storia dell’emigrazione italiana furono Giuseppe Sarto, vescovo di Mantova dal 1883 al 1894, poi Papa col nome di Pio X e Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona dal 1871 al 1914. Entrambi, tra gli anni ’70 e ’80 dell’Ottocento, avevano vissuto, in visita pastorale, il dramma di numerose famiglie che partivano per le Americhe o l’Europa alla ricerca di un lavoro, di fronte ad uno Stato unitario che non riusciva ad affrontare il dramma della miseria e della disoccupazione.

giuseppesartoSignificativa la circolare del Sarto al clero mantovano del 1887 in cui ricorda la chiusura del catechismo a Castelbelforte  perché 305 parrocchiani, la settimana successiva, sarebbero partiti per il Brasile. Il vescovo scrive: “Non è la prima volta che poveri contadini eccitati da agenti di case speculatrici e da impresari di emigrazione… mentre si aspettavano il favoloso paese dell’oro, nonché vedere infrante le stipulazioni, per solito puramente verbali, si riconobbero e nel lungo tragitto e nelle terre promesse vittime di inganni, per cui, fuggendo la miseria del luogo nativo, incontrarono miserie ben più strazianti lungi dalla terra dei loro padri”.

Da Papa l’impegno di Giuseppe Sarto per gli emigranti continuerà raccomandando, nel 1908, la nascita in ogni diocesi di Comitati per l’emigrazione, istituendo un collegio che preparasse sacerdoti dedicati in particolare a questo problema e indicendo nel 1914 la “Giornata” di cui ricordiamo il centenario.

bonomelliMons. Bonomelli nel 1896 scrisse una lettera pastorale dal titolo L’emigrazione, in cui ricorda come siano “molti anni ch’io andava meco stesso coltivando il pensiero di fermare la vostra attenzione sopra questo fenomeno della emigrazione in generale e in particolare dalle nostre campagne: emigrazione che ora cresce, ora diminuisce, ma non cessa mai del tutto”.  L’emigrazione, continua Bonomelli, è giudicata da alcuni un bene e da altri un male, per altri ancora un tema che non vale la pena di considerare, quasi ovvio: “strano contegno quello di quest’ultimi! Come se la partenza dall’Italia nostra di 200.000 e fin 500.000 persone ogni anno fosse cosa di nessuna o lieve importanza”. Ricorda di avere incontrato nei suoi viaggi in Europa volti e storie di sofferenze. “Conobbi dolori e miserie morali, religiose ed economiche, quali non avrei mai immaginato. Poveri emigrati! Quante volte questo doloroso lamento mi uscì spontaneo dalle labbra! Quante volte mi sentii stringere il cuore e non potei frenare le lacrime dinnanzi a certe scene, che non dimenticherò mai! In molte stazioni d’Italia e fuori d’Italia vidi turbe di uomini, di donne, di bambini, malamente vestiti, colle tracce profonde del dolore e delle privazioni dipinte sul volto aspettare i treni, salire quei vagoni, serravisi dentro come merci”.

Per aiutare i migranti il Bonomelli fondò un’opera, tuttora esistente, che con gli anni ampliò i suoi interventi a favore dell’emarginazione in tutte le sue forme.

Riallacciandoci alle amare esperienze ricordate, si può affermare che la dignità della persona non si ferma alla frontiera e il migrante o rifugiato che sia non è semplicemente un “problema da gestire”, ma una risorsa, non solo economica, da valorizzare, troppe volte misconosciuta; un patrimonio di umanità che non può essere ignorato, anche se l’integrazione nella nuova nazione può presentare difficoltà innegabili che si superano se si riconosce di aver a che fare con donne e uomini simili a noi.

Gianni Visconti