Intervista con l’arcivescovo di Manila: «Il tema è presente nel testo finale. E il Sinodo non è una battaglia. Nelle Filippine abbiamo il “divorzio” per amore delle persone che emigrano»

«La questione della pastorale verso le persone divorziate risposate e l’approfondimento sulla possibilità di ammetterli ai sacramenti» rimane «aperta», perché è citata nel testo finale sottoposto al voto del Sinodo che è stato reso pubblico. Lo afferma in questo colloquio con La Stampa il cardinale Luis Antonio Tagle, 57 anni, arcivescovo di Manila, uno dei presidenti delegati dell’assemblea sulla famiglia che si è chiusa sabato scorso. Il porporato filippino, una delle figure più significative della Chiesa asiatica, ha anche negato che il mancato raggiungimento del quorum dei due terzi su alcuni punti possa essere letto come una «sconfitta» di Papa Francesco.

Alcuni giornali, in particolare del mondo anglosassone, dopo il voto di sabato sul documento finale del Sinodo hanno parlato di Chiesa spaccata e di Papa «sconfitto». È così?

«Non è vero, secondo me non è stata affatto una sconfitta. Non credo proprio che si possa definire così quanto accaduto con la votazione sulla “relatio Synodi”. In un processo sinodale gli elementi più importanti sono l’ascolto e la libertà di esprimere le diverse opinioni sulle situazioni che si presentano. Il Sinodo non è una battaglia né il frutto di una strategia. Forse per qualcuno magari potrà anche esserlo stato, ma questa non è la prospettiva del Sinodo».

Questioni come la possibile ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti, che hanno ottenuto la maggioranza assoluta ma non il quorum dei due terzi, restano ancora aperte secondo lei?

«Sì, certo che restano aperte. Questo Sinodo straordinario era solo una tappa del cammino. La questione della pastorale verso le persone divorziate risposate e l’approfondimento sulla possibilità di ammetterli ai sacramenti, in certi casi, in certe situazioni e a determinate condizioni, è stata riportata chiaramente nel testo finale. È stato reso pubblico il numero dei voti che quel paragrafo ha ottenuto, la maggioranza assoluta, e – come ha detto il Papa – farà parte del testo che sarà inviato alle conferenze episcopali».

Qual è stato lo scopo di queste due settimane di lavoro?

«Sono servite a far emergere lo stato delle cose e i problemi esistenti. Io, che ero un presidente delegato dell’assemblea, già al secondo giorno di lavori mi sono trasformato in un alunno! Abbiamo ascoltato le sfide pastorali che toccano altri Paesi e altri continenti, per esempio l’Africa e umilmente devo ammettere: non capisco tutto, devo ascoltare e imparare…».

Il Papa nel suo discorso finale di sabato, molto applaudito in aula, ha parlato di varie «tentazioni», da quella «dell’irrigidimento ostile» di chi si vuol chiudere dentro la legge, a quella del «buonismo distruttivo». Che cosa ha prevalso?

«Secondo me in aula ha prevalso una comune sensibilità e attenzione per le ferite delle famiglie. Non c’era neanche un padre sinodale che non cercasse di rispondere. Però c’è da considerare il mistero della fede, la parola del Signore, la ricchezza della tradizione… È una realtà complessa, come un diamante dalle molte sfaccettature: alcuni vedono una faccia, altri un’altra. Ma c’è una verità profonda che ci unisce, tutti cerchiamo di seguire il nostro pastore supremo, che è Gesù Cristo».

Secondo lei qualcuno ha cercato di coinvolgere il Papa emerito Benedetto XVI nella fronda contro Francesco?

«Questo non l’ho proprio sentito. E se c’è stato, io non ne faccio parte…».

Quali sono le sfide per la famiglia che l’Asia ha portato al Sinodo?

«Parlo delle mie Filippine. Già durante la fase preparatoria ho parlato molte volte di una povertà e del fenomeno dell’emigrazione: due realtà che non appartengono soltanto al contesto delle famiglie, sono entrate nel cuore della vita delle famiglie. Nel nostro Paese non c’è la legge sul divorzio. Ma ci sono divorzi per amore. Padri e madri che per amore dei figli si separano e un coniuge va dall’altra parte del mondo per lavorare. Sono separazioni causate dall’amore. Dobbiamo come Chiesa, nelle Filippine e nei Paesi dove i migranti arrivano, accompagnare queste persone, aiutarle a essere fedeli alla propria moglie o al proprio marito».

Andrea Tornielli